
Un episodio che ha allarmato e non poco i proprietari dello stabile che hanno fatto scrivere dal loro avvocato una diffida e una riserva di risarcimento danni al Comune di Sulmona, lettera, spedita il 28 aprile scorso, alla quale il Comune si è ben guardato dal rispondere.
Così ora si passerà ad un esposto alla magistratura, anche perché, secondo quanto sostengono i proprietari, “risulta ai miei assistiti – scrive l’avvocato Luca Orsini – che la priorità acquisita non sarebbe stata rispettata, a vantaggio di altre situazioni”. Insomma che la pratica di Palazzo Corvi sia stata in qualche modo retrocessa, secondo una scala di priorità che a quanto sembra è molto discrezionale.
La cronistoria di questa mancata ricostruzione, d’altronde, parla da sola: il primo maggio del 2009 venne fatta una prima valutazione dei danni catalogati come di tipo A. Ma quella valutazione speditiva non corrispondeva realmente ai danni riportati e così a fine luglio del 2010 la Struttura per la gestione dell’emergenza della Regione eseguì un nuovo sopralluogo, modificando l’esito da A in B (cioè più grave).
Nel maggio del 2011 veniva così presentata una domanda di ammissione al contributo con relativo progetto che, nel giugno del 2013 venne integrato in tutte le parti mancanti.

“I miei assistiti – aggiunge l’avvocato nella lettera – ritengono che la mancata messa in sicurezza del fabbricato sia ascrivibile alla esclusiva responsabilità di codesta Amministrazione per il ritardo nell’erogazione del contributo di ripristino, in difetto del quale non è possibile procedere all’esecuzione dei lavori” e avvertono che, loro, non si assumono nessuna responsabilità in caso di danni a cose e persone.
Dal canto suo al Comune è bastato mettere qualche transenna tra un esercizio commerciale e l’altro: la prassi dell’emergenza, ormai, diventata quotidianità.
Né si può pensare che per Palazzo Corvi, un ritratto di balconi in fiore e decorazioni architettoniche, si possa ipotizzare lo scempio fatto nell’edificio che gli sta di fronte, Palazzo Pretorio, accappato con un’orrenda impalcatura di legno e tubi innocenti da cinque anni. Tanto più che a sborsare i 23mila euro necessari dovrebbero essere gli stessi proprietari.
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