Corte dei Conti: “Assenteisti senza ritegno”

“Senza ritegno”, usa queste parole il sostituto procuratore della Corte dei Conti Erika Guerri, per definire il fenomeno dell’assenteismo al Comune di Sulmona: una pratica diffusa e diventata di dominio pubblico che un anno e mezzo fa trascinò la città e la sua reputazione nei disonori della cronaca nazionale.
E non è un caso che dei risarcimenti richiesti nella citazione a giudizio disposta l’altro ieri per diciotto dipendenti, in tutto quasi 300mila euro, la fetta più consistente derivi proprio dal danno all’immagine (215mila euro) alla città.

Non è solo questione di forma, ma anche e soprattutto di sostanza; perché poi quei dipendenti che entravano e uscivano dal Palazzo secondo le proprie esigenze private e agli orari che volevano, hanno provocato un disservizio ai cittadini, con un Comune che non è solo la Corte dei Conti ad evidenziare che non funziona. Nella citazione a giudizio c’è anzi una voce specifica per questo, che i giudici contabili definiscono “danno da disservizio” e che attribuiscono precise responsabilità a chi doveva controllare e non lo ha fatto: l’ex segretario comunale e dirigente ad interim Gianpaolo Santopaolo a cui la Corte dei Conti ha richiesto per il disservizio creato 40mila euro di risarcimento e la dirigente del Secondo settore Filomena Sorrentino, per la quale il risarcimento richiesto per questa voce è di 10mila euro.
Il primo che non ha mai utilizzato il suo badge contravvenendo ad una circolare che lui stesso aveva imposto, la seconda che oltre a non timbrare come avrebbe dovuto e ad usufruire di buoni pasto che non le sarebbero spettati, aveva degli orari di lavoro del tutto sconnessi con le esigenza d’ufficio. Perché, insomma, è vero che i dirigenti non hanno orari fissi, ma è anche vero, come sostiene la Corte dei Conti, che “ella si recava in Comune molto tardi (tendenzialmente dopo le 10:00) e usciva per lunghissime pause pranzo durante le quali prendeva i figli a scuola e si fermava presso la propria abitazione sino oltre le 16:00. Così facendo – si legge nel dispositivo dei giudici – violava i propri obblighi quale datore di lavoro, poiché non provvedeva ad effettuare gli opportuni controlli e ispezioni”.
Il giudizio sui comportamenti e le responsabilità dei due dirigenti da parte della procura della Corte dei Conti è tranciante: “Non solo hanno coscientemente e frequentemente violato i propri obblighi di presenza e/o rilevazione della propria presenza presso le sedi dell’ente – si legge -, ma hanno manifestamente omesso di vigilare sull’attività lavorativa e la produttività dei dipendenti incardinati presso il proprio settore, consentendo loro di assentarsi dal servizio in qualunque momento della giornata, senza alcun ritegno, in modo totalmente irrispettoso nei confronti della collettività e dei pochi elementi che non si assentavano dal servizio e senza che venisse mosso alcun rilievo”.

Un altro elemento sollevato dalla procura contabile è poi quello della sicurezza sui luoghi di lavoro, motivo per cui, per intendersi, proprio il personale comunale è in stato di agitazione da un mese: secondo il magistrato, infatti, proprio questo caos anarchico all’interno del Palazzo, faceva venir meno i punti di riferimento in caso di emergenza.

La storia dei furbetti del cartellino è una storia all’italiana dalle mille sfaccettature, un po’ fatta di vizio, un po’ di consuetudine, un po’ di leggerezza, un po’ di malafede. Perché le posizioni tra i diversi indagati sono molto diverse: dal timbratore occasionale a quello seriale.
C’è chi ha ammesso in parte, qualcuno che si è difeso o ha cercato di farlo, qualcuno che c’è riuscito a provare la propria innocenza, altri no, non ancora almeno: come quelli degli uffici del sociale e della cultura distaccati nella caserma Pace che, in gran parte, hanno seguito la linea difensiva della “uscita per servizio” per arrivare in via Mazara. Solo che i 4 minuti necessari (come indica Google) si trasformavano spesso in decine di minuti, a volte in ore.
O chi ha detto di aver partecipato a riunioni di cui però non si ha traccia e chi ha tentato di contestare anche quello che raccontavano le immagini registrate dalla guardia di finanza.
E poi le lunghe passeggiate, le pause caffè e sigaretta interminabili, le chiacchiere per il corso e al bar, la partecipazione ad eventi nell’orario di lavoro e ancora chi tornava a casa beatamente e ci restava fino a fine turno.

Uno spaccato che al di là del danno erariale (che salvo alcuni pochi casi estremi, è per molti relativamente grave), restituisce l’immagine di un sistema malato e non tanto e non solo per i diretti protagonisti, ma anche per chi vedeva, sapeva e nulla diceva. E non si tratta solo dei dipendenti comunali. Neanche un sussulto di rabbia, un po’ d’indignazione.

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