Il mistero dei furbi

Il ricorso presentato dall’usciere di palazzo San Francesco, Stefano Pezzella, licenziato perché coinvolto nello scandalo dei furbetti del cartellino, rischia di aprire un altro durissimo fronte al Comune e non tanto dal punto di vista economico (Pezzella ha chiesto il risarcimento danni anche per le conseguenze da danno biologico), quanto dal punto di vista se non giudiziario, almeno amministrativo. Perché se la tesi del suo avvocato, Alberto Paolini, dovesse essere accettata dal giudice, oltre a scatenare legittimamente la rivalsa di gran parte dei trentadue colpiti a vario livello da provvedimenti disciplinari, porrebbe seri interrogativi sulle responsabilità che hanno portato i diversi uffici per i provvedimenti disciplinari (ben tre diversi in due anni) a non agire prima, visto che il cuore del ricorso si basa proprio sulla tardività e quindi la nullità delle azioni disciplinari emesse solo a marzo del 2019, quasi tre anni dopo cioè dai fatti contestati.

La legge dice infatti che le contestazioni disciplinari ai dipendenti coinvolti sarebbero dovute partire entro quaranta giorni dalla ricezione della notizia di infrazione da parte della struttura. L’ufficio provvedimenti disciplinari ha formalmente fatto le contestazioni alla fine di dicembre del 2018, due anni e mezzo cioè dopo i fatti, o meglio dopo che i fatti erano stati raccontati dalla stampa di tutta Italia. La tesi del Comune (molto discutibile, visto che si parla nella legge di “data di ricezione degli atti, ovvero dalla data nella quale l’ufficio ha altrimenti acquisito la notizia dell’infrazione”) è quella di far scattare il termine dalla comunicazione ricevuta dalla Corte dei Conti alla fine del 2018. In realtà, stampa a parte, il Comune e gli uffici disciplinari avevano acquisito la notizia di infrazione, anche formalmente, ben prima. E ci sono almeno due episodi che restano in gran parte oscuri e che fanno pensare che la distrazione di chi doveva operare sia stata troppo evidente per essere giustificata.

C’è ad esempio quella comunicazione datata 22 dicembre 2016 fatta dal dirigente Amedeo D’Eramo per l’attivazione della polizza assicurativa per la copertura legale in merito alle contestazioni da lui ricevute dalla Corte dei Conti, che è la data utile dalla quale avrebbe e sarebbe dovuta partire la contestazione disciplinare, essendo nella richiesta citato anche il procedimento dei giudici contabili. La pec inviata da D’Eramo era indirizzata al Protocollo del Comune di Sulmona, al sindaco Annamaria Casini, all’assicurazione e al suo legale Luigi Di Massa. Un atto ufficiale e formale, tant’è che D’Eramo chiede di procedere “alla formale apertura della posizione assicurativa” (come poi d’altronde avrà) e allega alla richiesta non articoli di giornale, ma la copia dell’accertamento fatto a lui dalla Corte dei Conti il 14 dicembre di quell’anno. Non si spiega quindi come sia l’allora responsabile dell’Upd (ufficio disciplinare) Sylvia Kranz, la super esperta chiamata dalla Bassa Romagna, sia il sindaco a cui era pure indirizzata la pec, siano cadute dalle nuvole e soprattuto non abbiano provveduto (la Kranz in particolare) ad aprire la procedura. Con il sindaco che ancora ad ottobre scorso sollecitava gli uffici a procedere.

Il secondo episodio è ancor più imbarazzante, perché a richiedere i documenti, questa volta direttamente alla procura, erano state nel maggio del 2017, la stessa Kranz, il sindaco e l’allora assessore Vella. I documenti e il fascicolo, che dopo gli avvisi di garanzia non erano più secretati, vennero prodotti dalla procura, ma nessuno stranamente andò a ritirarli. Non per uno o quaranta giorni, ma per un anno e mezzo, quando cioè, dopo un articolo del Germe, si scoprì ad ottobre dello scorso anno che quei faldoni erano ancora a palazzo Capograssi impolverati e in attesa che qualcuno li andasse a ritirare. Nel frattempo a gennaio del 2018, la Kranz era stata mandata a casa e si era insediato un nuovo Upd, composto dai tre dirigenti del Comune (Panella, D’Eramo e Sorrentino), senza che nessun provvedimento disciplinare venisse avviato.

I “panni sporchi” insomma sembra non si siano voluti lavare in Casa, quella Comune. E ora, soprattutto se il giudice dovesse riconoscere le ragioni del ricorso presentato da Pezzella, il conto della lavanderia potrebbe pagarlo la collettività. A meno che la Corte dei Conti, salvo ipotesi anche penali, non voglia aprire un altro ennesimo capitolo in via Mazara.

1 Commento su "Il mistero dei furbi"

  1. la negligenza e’ punita, le attuali disposizioni non prevedono idioti che fanno finta di niente,inclusi avvocati in combutta ,padri di compagni di merende,nessun mistero,avanti tutta, la Corte dei Conti batte un colpo?

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