L’INTERVISTA/ Giovanna Di Domenico, la ricerca nella natura selvaggia

Dal Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise a quello della Majella, Giovanna Di Domenico si è formata negli anni di università conseguendo il titolo di dottore di ricerca. Tutto nasce con l’orso, ma la sua attività si è ampliata allo studio e conservazione di altri grandi carnivori. Una giovane donna che ha seguito la sua natura “selvaggia”. Oggi al pari di tanti altri giovani fa i conti con il precariato e con una professionalità il cui valore è paradossalmente sottovalutato. In questo senso Di Domenico diventa un po’ portavoce di tanti colleghi, di esigenze spesso inascoltate, di una natura da tutelare, flora o fauna che sia.

 

Come nasce la sua passione verso lo studio degli animali? Era un sogno di bambina?

Sinceramente? No! Da bambina non avevo sogni particolari ed ero in un certo senso alla ricerca delle mie passioni. A differenza dei miei due fratelli maggiori non avevo interessi specifici particolari (o almeno non avevo ancora capito di averne) e ricordo chiaramente che un giorno chiesi a mia madre il perché di questo fatto. Nonostante non lo avessi ancora capito, il mio interesse era chiaro: la cosa che mi connotava di più era una certa nota “selvaggia”. L’interesse verso la natura c’è sempre stato, ma ho capito di volerne fare un lavoro solo durante l’università con l’approfondimento della conservazione della biodiversità, argomento che, purtroppo, nelle scuole primarie e secondarie non è affrontato affatto o non lo è quanto si dovrebbe. Ho capito che la distruzione degli ecosistemi da parte dell’uomo era un argomento che non riuscivo a ignorare e che lavorare per contrastare questa tendenza era ciò che più desideravo. La passione verso la conservazione degli animali, invece, è nata dall’orso. Fin dal momento in cui ho acquisito la consapevolezza delle mie passioni, da abruzzese, ho deciso che l’oggetto della mia tesi di laurea sarebbe stato l’orso marsicano, una sottospecie di orso sopravvissuta solo in Abruzzo, ancora oggi in pericolo critico di estinzione. Sono riuscita a dedicargli la tesi di laurea, di dottorato e poi, seguendo sia le mie passioni sia le opportunità di lavoro, ho lavorato anche per la conservazione del camoscio appenninico e del lupo, tutte specie la cui conservazione è in un modo o nell’altro strettamente legata all’Abruzzo.

 

Quali sono i suoi studi passati e come è arrivata al Parco Nazionale della Majella?

La mia storia professionale inizia dalla mia tesi di laurea specialistica alla quale, andando contro la tendenza recente di considerare questo prodotto una formalità, ho dedicato due anni. Il lavoro per la tesi di laurea specialistica l’ho svolto nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise nell’ambito del Progetto Grandi Carnivori (GC) del Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo (ora Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin”) della “Sapienza” Roma. È stata un’esperienza molto impegnativa ma fondamentale per la mia carriera, sono gli anni durante i quali si è realmente formata la mia professionalità. Nel 2010 ho vinto un bando pubblicato dal Parco Nazionale della Majella per la conservazione del camoscio appenninico (il Life Coornata) per cui ho lavorato fino al 2014. Sono entrata a far parte di una squadra di tecnici composta da professionisti estremamente capaci, competenti e mossi da una forte passione e questo ci ha portato, ci porta (e spero ci porterà) a conseguire risultati molto importanti e soddisfacenti. Il Progetto Life Coornata, ad esempio, è stato premiato dalla Commissione Europea come uno dei migliori Progetti Life del 2015.

 

Di cosa si sta occupando ora?

Dopo il Life Coornata ho continuato a collaborare con il Parco Majella nell’ambito di progetti finanziati con fondi ministeriali per la conservazione della biodiversità maggiormente delle specie di orso, camoscio e lupo. Il monitoraggio di orso e lupo è finalizzato prevalentemente all’individuazione delle minacce alla loro conservazione e delle migliori azioni di tutela da mettere in campo mentre sul camoscio il Parco, oltre a monitorare la popolazione con gli stessi obiettivi di orso e lupo, sta proseguendo le azioni di reintroduzione grazie alle quali è oggi presente anche sui Monti Sibillini e sul Monte Sirente.

 

Come si svolge una giornata di monitoraggio? Cosa accade normalmente?

Questa domanda è molto difficile e ha un difetto di forma che risiede nel “normalmente”. La “normalità” non esiste in questo lavoro! Fortunatamente non è un lavoro che prevede attività di routine e cambia in base al periodo dell’anno, alla specie oggetto del monitoraggio, agli obiettivi specifici che si stanno perseguendo eccetera. È molto difficile dunque descrivere una giornata di monitoraggio, sono 12 anni che svolgo questo lavoro, non c’è stato un solo giorno uguale a un altro!

 

C’è stato un episodio che più di altri l’ha particolarmente emozionata?

Ce ne sono stati tanti! Il mio lavoro mi emoziona spesso e molto. Se proprio devo citarne uno scelgo M1.93. Era il 2012 e lavoravo nel Parco Majella da un anno. Ci hanno segnalato un orso e siamo andati in sopralluogo. Sul posto la prima cosa che ho visto è stato un inconfondibile escremento di orso, mi sono letteralmente tuffata a terra e ho iniziato ad analizzarlo con le lacrime agli occhi. Era proprio orso. Era il maschio M1.93, un orso il cui Dna era stato campionato nel Parco d’Abruzzo precedentemente. Dopo 5 anni trascorsi lì a studiare l’orso ecco che “mi aveva seguito” anche nel Parco Majella dove la sua presenza era più rara e più difficile da rilevare. Dopo quell’evento i segni della sua presenza sulla Maiella sono stati sempre più frequenti e oggi è una delle pochissime aree al di fuori del Parco d’Abruzzo nelle quali sono presenti stabilmente, oltre ai maschi, individui di sesso femminile: un patrimonio inestimabile per la conservazione dell’orso bruno marsicano. Ecco, a me piace pensare che quell’emozione abbia sugellato il definitivo ritorno dell’orso dal quale, spero, non scompaia mai più.

 

Come riesce a barcamenarsi in una situazione lavorativa precaria come quella italiana?

Il mercato del lavoro in Italia versa in una situazione drammatica di precarietà che sta avendo effetti devastanti sulla vita dei lavoratori e, più in generale, sulla società. La mia professionalità, oltre a subire questa situazione al pari di tantissime altre, subisce un’ulteriore oppressione determinata dall’assenza (o quasi) di consapevolezza dell’importanza di questo lavoro da parte non solo delle persone comuni (che sarebbe comprensibile e affrontabile) ma soprattutto da parte delle istituzioni e di chi legifera. La conservazione della biodiversità e dell’integrità degli ecosistemi non è un’astratta prerogativa di ambientalisti incalliti ma è un concetto che dovrebbe fondare la nostra società per molti motivi dei quali il più “concreto” è che consente la conservazione delle risorse, consente la vita dell’uomo sulla terra. Sulla base di questo, il nostro lavoro (in tutte le sfere collegate all’ambiente ovviamente, non solo alla fauna) dovrebbe essere una priorità. Invece i fondi sono risicati e la nostra professionalità non è definita né riconosciuta: spesso, anche a livello istituzionale, siamo considerati alla stessa stregua degli “appassionati” di natura!

Mi “barcameno” grazie a due ingredienti che mi consentono di andare avanti: il primo è l’impegno delle persone che si dedicano in modo costante e indefesso per il reperimento dei fondi; il secondo è quello che metto io nel cercare di lavorare al meglio, con professionalità e passione.

 

Ha mai pensato di migrare altrove?

Se ho mai pensato di migrare altrove…francamente no. Ho fatto e mi piacerebbe poter ripetere esperienze all’estero ma sono felice di fare questo lavoro in Italia e in particolare in Abruzzo. Noi, essendoci nati e vissuti, vediamo questa regione in modo banale ma l’Abruzzo è il sogno (e la meta) di molte persone che vivono in contesti più antropizzati. Siamo la regione d’Italia, e una tra le poche aree in Europa, dove sono sopravvissuti orsi e lupi, abbiamo specie endemiche, montagne inaccessibili, insomma siamo un serbatoio di biodiversità e wilderness.

 

 

Cosa si aspetta in futuro?

Se mi avesse fatto questa domanda qualche anno fa avrei risposto con un elenco di tappe che sono più o meno quelle che la società si aspetta da una donna. Adesso invece rispondo con una parola: niente. Non lo dico in senso nichilistico né con l’intenzione di esprimere scoraggiamento nei confronti della vita. Lo dico, al contrario, in senso estremamente positivo: il mio futuro lo vedo come un contenitore vuoto dove tutto è possibile. Questo naturalmente non vuol dire che io desideri vivere in balia degli eventi. Desidero seguire le mie passioni e impegnarmi per portare avanti le cose in cui credo, non so questo dove mi porterà ma sono sicura che sarà bello scoprirlo.

 

Simona Pace

 

1 Commento su "L’INTERVISTA/ Giovanna Di Domenico, la ricerca nella natura selvaggia"

  1. Che bella intervista e che bello leggerti!
    Manuele

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