Salvatore il calzolaio, un mestiere dimenticato

Un’arte che rischia di cadere nel dimenticatoio; che prende vita alla luce di una bottega, sotto l’attento sguardo dell’artigiano all’opera. Un’arte dettata da pazienza e passione: valori che ben si addicono a uomini di una volta, distanti dai ritmi frenetici della città.

Salvatore Di Stefano ha 85 anni e, nonostante la sua veneranda età, vive, ad oggi, del suo antico mestiere: è un calzolaio, un uomo di altri tempi, che trascorre le ore nella sua, ormai, familiare bottega dove, entrando, si è avvolti dall’odore di cuoio, di colla e di pelle delle solette. La postazione di lavoro è un semplice e vissuto banchetto in legno, dove sono disposti attrezzi e sagome per fabbricare e riparare scarpe. “È dal lontano 1954 che ho a che fare con calzature – racconta Salvatore – certo, non sono nato imparato. Chi di noi lo è stato! Ero un semplice apprendista, alle dipendenze di un superiore ma con molta curiosità, passione e voglia di imparare. Non è passato molto, infatti, prima che diventassi proprietario della mia attività: una delle più grandi soddisfazioni della mia vita. Sono nato e cresciuto in un’epoca difficile, dove il lavoro scarseggiava ma tutti sapevamo cosa volesse dire la parola arrangiarsi. La mia storia testimonia le instabilità del tempo: ho origini siciliane e ho lavorato per circa sette anni in Germania, prima di stabilirmi permanentemente a Sulmona. Non sono sempre stato un calzolaio: all’occorrenza sono diventato un muratore. Non mi sono mai tirato indietro: ero giovane e volevo apprendere”.

La storia di Salvatore la leggi dalle mani, segnate dall’età e dalla fatica. Non è poi difficile ricostruire pezzi della sua vita, percependo, talvolta, qualche piccolo rimpianto. “Avrei tanto voluto studiare, ma prima era un lusso che non tutti potevano permettersi. Tutto sommato, però, non mi pento della mia scelta: mi piace il contatto con le persone, mi piace cambiare solette, sigillare fessure e rinnovare tacchi. Il lavoro non è più impegnativo come all’inizio, ma non voglio mollare: sono in pensione, quindi potrei concedermelo, ma così riesco a distrarmi, a sentirmi più leggero. Non voglio avere mille pensieri per la testa, preferisco essere occupato”.

La storia di Salvatore è la storia di un artigiano, uno dei tanti che un tempo lavoravano nelle strade cittadine e il cui numero è sceso vertiginosamente rispetto agli anni ‘50: Salvatore, deciso a non chiudere le porte della sua bottega, può contare oggi nel solo sostegno di Enzo Mosca (nome noto alla popolazione grazie alle realizzazione in legno delle Natività) per la spartizione del lavoro. I due artigiani non intendono distogliersi dalla loro passione e, alla luci delle botteghe, restano a disposizione di clientele occasionali e/o di fiducia, folli amanti del riciclo.

Che in verità sono sempre di più, e le saracinesche abbassate del commercio del centro sembrano testimoniarlo. Certo il commercio online ha rivoluzionato il mercato e si è abbattuto sulle attività tradizionali, ma sono in molti anche quelli che prediligono sempre più il recupero, il riciclo di vestiti, di sciarpe e di scarpe.

Una nuova tendenza che fa i conti con le tasche e la crisi, ma che rischia oggi di non avere tanta offerta quanto potrebbe essere la richiesta. Il gap del know how, del lavoro dimenticato, ha ridotto infatti gli antichi mestieri artigiani ad una rarità. Che può esercitare solo chi è ormai ben oltre la soglia della pensione. Dopo Salvatore, insomma, il nulla.

Mariagrazia Verocchi

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