Nei giorni della Perdonanza, il fuoco che non perdona.
Neanche dopo il pentimento della macchina dei soccorsi che solo oggi, al quinto giorno quinto di fiamme e fumo, ha deciso di rivedere la sua organizzazione, aprendo le porte ai volontari, alle centinaia di persone, semplici cittadini, che si sono già iscritti al Coc e che ora, e solo ora, dopo la forzatura fatta dai volontari delle frazioni, potranno avere accesso alla montagna. Basterà registrarsi, presentarsi con abbigliamento adeguato (non sintetico), una pala, un piccone o una ronca.

Una cosa così semplice, ma non fatta né immaginata prima, che misura la qualità della macchina organizzativa del sistema di protezione civile, dell’inesistente piano antincendi della regione, con un consigliere-assessore delegato latitante e le passerelle senza senso dei suoi colleghi. A partire da quelle del presidente Luciano D’Alfonso che prima è venuto ad annunciare un rimboschimento che non è consentito dalla legge e poi a rassicurare sulla straordinaria potenza di mezzi e uomini messi in campo per superare l’emergenza: una cinquantina di alpini, trenta dei quali mandati a Caramanico, e una flotta di aerei che oggi sono passati si e no quattro volte sui cieli della valle.

Le fiamme, d’altronde, avanzano ad una velocità impressionante e nulla e nessuno sembra riuscire a fermarle. Niente e nessuno sa quando si fermeranno. Forse tra giorni e giorni, quando anche l’ultimo arbusto sarà incenerito.

Lo scenario sul Monte Morrone è oggi uno scenario che sembra post-atomico (guarda il video -Il senso della cenere- nella sezione “de visu”), un paesaggio lunare che nulla ha di romantico. Il grigio si è sostituito al verde, la cenere ai pini e ai faggi, la morte alla vita.
Gli esperti dicono che tra qualche anno su questa montagna rinascerà una flora autoctona, quella che c’era prima dei rimboschimenti durati fino agli anni Settanta, che torneranno la roverella e la ginestra e tutte le altre specie minori.
Così, almeno, per avere una speranza, per dare un senso a questa storia.
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