Eppure siamo tanti

 

Sparsi come tanti semi di una stessa pianta volati a germinare altrove, a colonizzare dello stesso genoma pianeti vicini e lontani.

Trasversali a età, censo e provenienze, figli tutti di una provincia che è condizione di nascita prima che geografica, terroni di un meridione dell’animo che non distingue nord da sud, siamo manciate della terra che ci portiamo dentro, ritornanti nelle feste comandate a recitare lo stesso ruolo immutabile ai lustri per sentirsi attaccati alle radici, unica identità condivisa.

Eppure abbiamo  coltivato studi, esperienze e competenze, volenterosi e caparbi, competenti e competitivi, concentratissimi ognuno sul suo monitor a trovare il punto di svolta.

Per diventare il lavoro per trovare lavoro, l’autopromozione eretta a sistema, l’investimento senza termine, lo sforzo per mantenersi a galla senza emergere. Isolati e distanti, siamo il cedimento al ricatto, la testa che cala, la cresta che si piega, la coscienza della nullità ascrittaci con strumentale perizia, la dignità delle autocertezze giocata a lotto.

Eppure abbiamo conosciuto il mondo negli angoli meno battuti, sopravvissuti nei luoghi meno consigliati, adattati ai contesti più proibitivi, siamo gli amici sparsi nel mondo entusiasti di accogliersi, terroni pendolari votati a cittadini del mondo, un tot al mese in anfratti grigi e senza sole.

Ma siamo anche i rimasti e i tornati, alieni alla stessa terra che ci ha visto nascere, pesci fuor d’acqua di un acquario che non ci riconosce, dall’acqua senza ricambio, marcita per le feci abbandonate nei decenni dei vecchi pesci.

Eppure.

Sappiamo polemizzare, mantenere il livello del dibattito se solo ce ne fosse, ineguagliabili a lamentarci ma anche, con lo stesso cinismo nostalgico, a capire i meccanismi che regolano le cose.

Sappiamo cosa è un bit e cosa un byte, a nostro agio sulla rete che ci tiene connessi abbiamo imparato le insidie dei virus e come aggirarli, siamo gli hacker del nostro stesso matrix spammato fin nelle più imperscrutabili propaggini del sistema.

 

Al Potere senza faccia abbiamo offerto cervelli e braccia, siamo lo zoccolo della piramide che mantiene la base dei più deboli giù di sotto e la punta su in alto dei privilegiati che se la spassano.

Siamo i consulenti dei carrozzoni che mandiamo avanti, le partite iva nelle multinazionali dei paradisi fiscali, i coccoco’ dei baracconi dei privilegi, gli eterni supplenti nelle graduatorie delle riserve, gli stagisti delle festività nei pronto soccorso, i pubblicisti autodafè dei giganti mediatici, i tecnici dei sottoscala degli studi di fama, i ghost writer dei grandi discorsi, i ricattabili spin doctor della politica immutabile, gli operatori mo’ si e mo’ no dei call center, le braccia operaie degli straordinari obbligati, i portatori di pizze a domicilio, i web master della finanza liquida, gli agenti delle vendite della qualunque, i recuperatori di crediti insoluti, gli scovatori degli evasori che non pagano, i poliziotti delle pantere di periferia, siamo le anticamere dei mille provini, i registi dei prodotti che non si producono, i creativi della creatività che non si remunera.

Siamo il lavoro sporco dello sporco che non ha mai lavorato.

Siamo i presentatori di progetti che non si finanziano, le start up a pioggia quando non piove, i correntisti di crediti a cui non abbiamo accesso, i questuanti di garanzie che non possiamo permetterci, i destinatari di consumi che dobbiamo consumare e di vizi che dobbiamo pur permetterci, i debitori di debiti che non abbiamo mai contratto.

Siamo i pagatori di tasse prima che i beneficiari di investimenti, incapaci ad evadere pure se lo volessimo, ci è alieno il raggiro e la speculazione, refrattaria la burocrazia, sconosciuta la strada facile del potere malato che si serve di noi.

Eppure sappiamo senza dircelo cosa ci appassiona e cosa ci dà noia, a cosa credere e cosa è misera mistificazione, certi delle certezze comuni eppure orfani senza scampo di rappresentanza politica e sociale,

 

Siamo le formiche operaie dell’arnia a cui non abbiamo accesso ma che grazie a noi si perpetra nei lustri.

 

Eppure.

 

Non siamo capaci a condividere nemmeno una briciola delle nostre esperienze, ad addizionare una sola competenza con l’altra, a mettere a sedere allo stesso tavolo precario con partita iva, tempo determinato con licenziato di fresco. Siamo inadatti a fare sistema, inabili alla costruzione di una casa comune, refrattari ad un’utopia a cui aggrapparci insieme, ad un solo progetto in cui credere, ad uno di noi a cui affidarci per portare avanti le identiche istanze.

 

Cosicchè tutto questo sapere, le radici comuni e le esperienze maturate, la voglia del sole di casa e la sete del mondo, le migliori energie e la caparbia insistenza, tutto questa cazzo di scienza ci torna assolutamente vana.

Inutile, improduttiva, senza scopo.

Se non forse per riconoscersi in occasioni sporadiche, una ricorrenza o un caso, una notte di svago, uno sballo in memoria di adolescenze mai passate, una gita, una partita o un concerto, per sentirsi ancora vivi e insieme.

Una volta ogni morte di papa.

 

Antonio Pizzola

 

 

 

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