Millecento giorni dopo

Dove c’eravamo lasciati? Ah già, a Luca Innocenzi che sotto il cielo stellato festeggiava senza nemmeno dover attendere il responso del mastrogiurato il terzo palio del Borgo San Panfilo. Complice anche una partenza imperfetta dello scaccato Diego Cipiccia, che poco spazio lasciava a dubbi, interpretazioni e soprattutto attesa dei cigni su chi avesse trionfato nella XXV edizione della Giostra Cavalleresca di Sulmona. Erano passati millecento giorni da quella danza a forma di lemniscata della durata di nemmeno trenta secondi. L’ultima della corsa all’anello. L’ultima volta in campo, per cinque minuti, senza lancia e senza andare sugli anelli.

Una frase che riecheggia in quella cornice formata dall’acquedotto medievale e le palazzine attorno al fontanone, che incastonano piazza Garibaldi come un rubino in un anello. Angelo Merola, per quelle parole, aveva trovato una casa. Una dimora atipica, con muri dei colori dei borghi e sestieri sulmonesi, un pavimento polveroso di ghiaia e un tetto prima azzurro e poi scuro, illuminato dagli astri.

Millecento giorni dall’ultima chiamata alla lizza, dall’ultimo anello infilato alla lancia come una fede al dito. Con la stessa emozione, con lo stesso tremolio. In mezzo il finimondo, o quasi. Pandemia e guerre. Non come le epidemie di peste e le battaglie rinascimentali, certo. Ma nemmeno troppo lontane nella sostanza.

Millecento giorni dopo il protagonista poteva cambiare per un centesimo di secondo. Un granello di sabbia nell’immensa clessidra della vita. Millecento giorni dopo il protagonista poteva cambiare per 2 centimetri di diametro. Polvere di stelle in confronto all’universo.

E invece no. Nel mondo che cambia e che è cambiato, ciò che rimane immutato è il vincitore della Giostra. Ancora Innocenzi, capace di riemergere tre volte dall’inferno. Prima nel recuperare dopo il macigno della penalità nella prima gara. Poi nello strozzare in gola, anzi zittire due esultanze di chi ha avuto troppa fretta nel festeggiare. Filiamabili punito, ancora per un centesimo, nonostante in sella ci fosse Marco Diafaldi. Colui che il palio lo negò ai gialloneroblu proprio per un centesimo quando vestiva la casacca di Manaresca.

Destino beffardo, come quello del Borgo di Santa Maria della Tomba, con uno Zannori che gli anelli, fino alle 20:30 di ieri, li aveva infilzati tutti. Troppo tremolante, troppo impreciso, troppo emozionato. Che poi, troppo in relazione al tempo, alla velocità e al diametro da inquadrare, è qualcosa di troppo relativo e punitivo. Fatto sta che la Tomba si ferma a un anello dal traguardo. Cortomuso si chiama nell’ippica. Non importa a nessuno se ha vinto di un punto o di cento. Innocenzi, nel 2019, infilò in finale tutti e tre gli anelli rossi. Ieri si è portato a casa il palio concedendosi il lusso di mancarne uno e arrivare con il destino nella lancia del rivale nell’ultima botta. La sostanza, però, non cambia.

Un finale di Giostra color suspence, con un’attesa degna di quella che ha riempito gli ultimi due anni.

Il tessuto socio-economico, intanto, si è adattato alla Giostra Cavalleresca. Ancor più di prima. Quasi come se con il ritorno di fanti, nobili e armigeri, si fosse risvegliato da un letargo iniziando a far sua la manifestazione. Il palio realizzato da un bar sulmonese prima, il FantaGiostra poi. E’ poco, ma allo stesso tempo è più di quanto si faceva prima che il Covid interrompesse cavalli e cavalieri, tappasse le chiarine, insonorizzasse i tamburi. Perché ciò che è rimasto intatto, o forse è ancor più forte, da questi mille e cento giorni di attesa, è lo spirito del popolo della Giostra. Stai a vedere che le mascherine questo spirito hanno contribuito a tenerlo dentro a tutti gli attori, figuranti e tesserati, e non solo a proteggerci dalle infezioni.

Millecento giorni di attesa hanno alimentato le aspettative. Hanno creato un filtro visivo in grado di rendere ancor più sublime il corteo. Hanno fatto risplendere le tremila perle addosso a Giovanna d’Aragona, interpretata da Nancy Brilli. Le bandiere che toccano il cielo. Colori e suoni si mescolano in un corso Ovidio a far da cassa di risonanza. Sulmona ha rindossato nuovamente uno dei suo abiti migliori. Impolverato, ma non scolorito. Nemmeno dopo millecento giorni.

Valerio Di Fonso

1 Commento su "Millecento giorni dopo"

  1. Ezio lu napuletan | 2 Agosto 2022 at 13:27 | Rispondi

    Mitica,straordinaria, sublime Sulmona…amore mio.

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