Morì di Covid intrappolata in ospedale, a giudizio infermiere di Introdacqua

Dovrà rispondere dell’accusa di omicidio colposo, per aver cioè omesso il controllo su una paziente affetta da Covid che morì nella stanza nella quale era rimasta chiusa dentro per quindici interminabili minuti.

Era il 3 novembre del 2020, nel pieno della seconda ondata di Covid, la più nefasta, quella che, senza ancora i vaccini, uccideva nel giro di pochi giorni, ore.

A giudizio andrà Pietro Ciammicco, quarantacinquenne infermiere di Introdacqua, in servizio quel giorno all’ospedale San Salvatore dell’Aquila, dove la vittima, una sessantacinquenne peruviana, morì a seguito del virus e, sostiene l’accusa, per il fatto di essere stata lasciata sola in camera, dopo che la porta era rimasta bloccata. Per aprirla era stato necessario l’intervento di un operaio, che aveva impiegato un quarto d’ora per aprirla. Troppo tardi per salvarle la vita. O almeno tentare di farlo.

L’accusa nei confronti dell’infermiere è quella di aver lasciato solo la paziente che, invece, doveva essere seguita. Per l’avvocato dell’imputato, Alessandro Scelli, però, la colpa non fu di Ciammicco, perché la stanza della terapia intensiva era sprovvista di interfono e, data la virulenza del virus, aveva dovuto chiudersi la porta dietro per comunicare con colleghi e medici.

Ieri il giudice per le udienze preliminari del tribunale dell’Aquila, ha accolto la richiesta del pubblico ministero Marco Maria Cellini, fissando l’inizio del processo a carico di Ciammicco a giugno prossimo.

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