Romanzo regionale

Ci sono due Abruzzi, prima e dopo Rocco. Il presidente Salini incatenato con otto assessori da Fabrizio Tragnone all’alba che saluta settembre. Toccò poi a Vincenzo Del Colle, con l’esecutivo che raccolse la fiducia degli sbirri, traghettare la regione verso l’elezione del nuovo governatore. Scelto questa volta con una matita. Domenica 23 aprile 1995: il prof conservatore Piergiorgio Landini va a letto quasi certo di aver vinto, rassicurato dai titoli rabdomanti dei giornali. Non tutti. Ma a mezzogiorno brinda il più democristiano degli scudocrociati, Antonio Falconio doroteo di centrosinistra. Primo per un soffio, meno d’un punto, grazie al terzo incomodo della Fiamma, Nicolino Cucullo che raccatta il tre per cento.

Nel millennio nuovo il trono dell’Emiciclo passa alla Casa delle Libertà, alla destra storica riverniciata. Per una manata di voti in più del giornalista di Navelli. Va all’uomo dei conti Giovanni Pace, dottore commercialista e deputato per due giri nell’uninominale chietino. Dapprima con la creatura di Giorgio Almirante eppoi con Alleanza Nazionale. Tocca a Ignazio colonnello di Gianfranco Fini, al tramonto del mandato, chiedere al presidente uscente di farsi da parte per far spazio al Terzo Polo di Rocco Salini. Niente da fare: l’incazzoso Giovannino vuol andare avanti e sfidare nelle urne la sfiducia dei sondaggi. Mentre il primario in doppiopetto viene risarcito con un posto a scadenza da sottosegretario alla Sanità nel governo di Silvio. Il montanaro di palazzo Madama Franco Marini ha scelto da tempo un antico compagno di battaglie sindacali, un orso marsicano socialista parlamentare dell’Ulivo a Strasburgo, ombra di big Lama e ministro delle Finanze che fece pagare le tasse a Maradona. Giusto self made man per far riconquistare la Regione all’Unione e tarpare le ali all’impaziente primo cittadino di Pescara nato a Lettomanoppello. Obbligato a restare nel palazzo razionalista in mattoni pensato da Vincenzo Pilotti.

Ottaviano Del Turco trionfa a mani basse. Detta lo spoil system e imbuca nello staff fotografi e fumettisti. Comincia la rude guerriglia contro gli invisibili poteri forti e quella meno sotterranea per la leadership del novello Partito Democratico. Ma il suo alfiere alla Protezione Civile Tommaso Ginoble viene stracciato: il 14 ottobre 2007 Luciano D’Alfonso è incoronato segretario regionale del Pd. Nove mesi più tardi, nella ricorrenza giacobina della presa della Bastiglia, è ancora una volta la magistratura a fare la rivoluzione: la Finanza arresta il governatore Del Turco a Collelongo per rinchiuderlo in via Lamaccio. Ecco l’inchiesta Sanitopoli della Procura adriatica. Maxi retata di colletti bianchi, assessori ed ex, consiglieri e alti funzionari. Associazione per delinquere, truffa, corruzione. Più di tre lustri dopo gli abruzzesi tornano a sentire il rumore delle manette come la notte di san Michele per vivere poi la mistica esperienza di entrare nei seggi addobbati con luci e stelline. Sfida nuova di zecca: Berlusconi sceglie dal mazzo, cassando i cognomi Piccone Di Stefano e Scelli, il giovanotto con la faccia d’angelo, innamorato dei numeri e della musica classica, sindaco di Teramo in vetta alle classifiche di gradimento. Quel che resta del centrosinistra fa quel che può: tocca a Carlo Costantini, avvocato moderato arruolato dal gendarme Tonino Di Pietro, rimettere assieme i cocci e lottare con l’impossibile.

Dieci giorni al Natale 2008: Giovanni Chiodi, per conto del Popolo della Libertà, sfiora il cinquanta per cento, diventando il secondo governatore di centrodestra a guidare l’Abruzzo nella rinnovata Repubblica. Nelle stesse ore in cui la Procura decide di entrare a gamba tesa nella cronaca e sconquassare a tarda sera i timoni già gonfi dei quotidiani: per concussione e peculato finisce ai domiciliari Luciano D’Alfonso. Che botto. Ma a febbraio del 2013 i venticinque capi d’accusa evaporeranno uno dietro l’altro e il tribunale assolverà l’ex sindaco di Pescara con formula piena. Per non aver commesso il fatto.

Il governatore Gianni sa che porterà il peso di commissario per il piano di rientro della Sanità, ma non immagina che dovrà occuparsi di ricostruzione. Dei territori e dell’anima di gente squarciata dal lutto e dal terrore: il 6 aprile 2009, alle 3 e 32 della domenica delle Palme, trema la terra nell’Aquilano. Scossa di terremoto cattivissima, la più potente di centinaia e centinaia, con epicentro tra Roio Colle, Genzano di Sassa e Collefracido: 309 morti, oltre 1600 feriti. Che disastro. A confronto la pruriginosa coda della legislatura è un pettegolezzo da cantina: la tempesta Rimborsopoli sarà una bolla di sapone e il presidente in carica non avrà guai con la giustizia. No. Ma solo tra le mura domestiche.

Nel 2014 Luciano D’Alfonso, libero da carichi pendenti e da antagonisti nelle primarie, parte finalmente con il camion e un pieno di gasolio. Promettendo un Abruzzo facile e veloce. Il 25 maggio cammina spedito in uno spoglio lentissimo, ma senza storia. Inceppato da un guasto tecnico del sistema elaborazione dati gestito per la prima volta dalla Regione. Alla fine, somma a uno a uno il 46,3 per cento dei segni sulle schede, cancellando Chiodi bloccato sotto la soglia del trenta dal vento del centrosinistra che soffia forte dal Nord al Mezzogiorno. Una buriana, nulla a che vedere con la slavina che il 18 gennaio 2017 disintegrò dalle mappe il Rigopiano-Gran Sasso Resort e soffocò ventinove innocenti. La più grande mattanza mai registrata sull’Appennino; la seconda in Europa, dopo la valanga di Galtür, che nel 1999 provocò due decessi in più. Giovanissimo presidente di Provincia, consigliere regionale, sindaco della città metropolitana, segretario di partito, governatore: un anno dopo, prima del tempo naturale, D’Alfonso tenta la scalata più alta. Candidato dai Democratici nel plurinominale 1 viene eletto. Ma lascia per qualche mese il vice Giovanni Lolli sulla sua vecchia poltrona, fino a quando la giunta delle immunità parlamentari lo obbliga a scegliere: o L’Aquila o Roma. Il senatore Luciano resta nella capitale e l’Abruzzo torna alle urne, per la prima volta potendo esprimere la doppia preferenza di genere. Il voto disgiunto e il listino bloccato del presidente sono già da tempo un lontano ricordo.

Il 30 novembre dello stesso anno Ignazio La Russa, gonfiando il petto, tira fuori il nome a sorpresa. Un uomo della destra ovviamente. Scissionista Pdl tra i fondatori di Fratelli d’Italia, vice tesoriere nazionale del partito di Giorgia Meloni, deputato e senatore in carica. Romano figlio di abruzzesi Toccolani. Gli sfidanti andranno in ordine sparso: Giovanni Legnini da Roccamontepiano, avvocato, senatore, sottosegretario di Stato, vice presidente del Consiglio superiore della Magistratura, sarà supportato da Pd, Più Europa, Sinistra Italiana e altre liste civiche. Sara Marcozzi, grillina degli esordi e chietina, ora in Forza Italia, sarà ancora una volta la bandiera dei Cinque Stelle.

10 febbraio 2019: Marco Marsilio accarezza le trecentomila preferenze, scavalca il 48 per cento, surclassa gli altri diventando il primo governatore tricolore dei Fratelli d’Italia. Il giovane partito fa bingo dominando praticamente il capoluogo dopo la sorprendente conquista di palazzo Margherita del sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi. Tiene per sé moltissime deleghe, quelle pesanti, non potendo sapere che il lavoro grosso gli arriverà dalla Cina. Il Covid 19 nel 2020 infetta anche e soprattutto l’Abruzzo rubando il respiro a quattromila malati. Soprattutto anziani.

Il governatore in sella ha strappato la conferma al cartello di governo. Non è stato scaricato in corsa come in Sardegna. Appare sicuro, a chi lo accusa ancora di non essere abruzzese risponde di poter dimostrare di essere stato in ogni centro della regione. In tutti i trecentocinque municipi. Come corso accelerato di appartenenza. Lo sfidante arriva dalla società civile con un apprendistato politico nel settore dei trasporti. Nato in una casa contadina di Torricella Peligna, paese caro a John Fante e alla Brigata Maiella. Professore universitario, economista, già magnifico Rettore a Teramo. Spinto da un campo extralarge, da ogni forza di centrosinistra. Luciano D’Amico, grazie a Il Germe, sfiderà oggi sul palco del cinema Pacifico Marco Marsilio. Un duello live senza precedenti per Sulmona. Chissà, buono forse per un nuovo avventuroso capitolo del Romanzo Regionale.

Dylan Tardioli

4 Commenti su "Romanzo regionale"

  1. Ho sentito che per assistere al dibattito di questa sera tra i due candidati alla presidenza della nostra magnifica regione bisogna pagare 5 Euri!! vabbe che ormai si paga tutto ma per ascoltare due che si candidano per amministrare per i prossimi 5 anni anche i miei soldi e soprattutto il mio futuro e quello di mio figlio oltre che di altri abruzzesi, si deve pagare no, a mio sindacabile parere, la ritengo una cosa squallida. Se, anche fosse, la motivazione è quella di pagare le spese della locazion avrebbero dovuto provvedere i candidati, uno per il tanto preso nei cinque anni trascorsi l’altro per quello che prenderà in caso di elezione. Ma tant’è.

  2. Io non avevo sentito che fosse necessario il biglietto, tantomeno a pagamento. L’ho scoperto davanti al cinema quando non mi hanno fatto entrare. Ma Voi del “Il Germe” perché non lo avete scritto? Forse non lo sapevate neanche Voi?

    • E si giusto ….il riscaldamento , gli addetti alla sicurezza ecc ecc le
      Luci ….deve essere tutto Grrrratissss ….perche noi 5 super Euro non le possiamo spendere per ascoltare un dibattito ma solo per comprare le sigarette e bere Birrrraaaa .
      5 Euriiiiiii potrei fallireeeeeee …

      • MI SEMBRA CHE DOPO TUTTE LE APPROPRAZIONI INDEBBTIE CHE EFFETTUA LA POLITICA A VARI LIVELLI DELLE RISORSE PUBBLICHE COME MINIMO DOVREBBE ESSERE IL CONTRARIO OSSIA LA POLITICA PAGARE I CITTADINI E NO VICEVERSA

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