Promozione culturale

Quando ci entrai la prima volta da ragazzino, mi sembrò la Base Lunare Alpha di Spazio 1999, un pezzo di futuro ammarato nella Valle Peligna.

Capirai, abituato alla vecchia biblioteca comunale sopra il centro anziani per il corso, bella per carità ma antica come Cavour che dovevo studiare, un pezzo di architettura contemporanea che non si vedeva dai tempi del ponte di Morandi mi proiettava in dimensioni inaspettate.

Non che fosse proprio il capolavoro del mio futuro esimio collega Paolo Portoghesi che la progettò per dimenticarla fra gli scheletri da nascondere nell’armadio, un centro culturale non si fa a cerchi.

Torna scomodo metterci gli scaffali dei libri, cosicchè fra l’infilata delle scansie e il restrostante muro circolare che ne impone la disposizione a linea spezzata resta una zona a settore circolare terra di nessuno.

Dove finivano libri instabili, cartacce arrotolate, tappi di penne bic mordicchiati, missiletti di carta e cespuglietti di polvere.

Ci immaginavo nella fantasia di ragazzino la donna delle pulizie costretta a gattonare per infilarcisi a fatica, inveendo contro l’architetto ogni volta che alzando la testa per prendere lo straccio dava craniate al ripiano basso. Crescendo poi ed evolvendo l’immaginazione a voli pindarici piu hard, quell’andito non-luogo diventava possibile alcova di frettolosa relazione inter impiegatizia, costretta fra muro e libreria metallica a indicibili evoluzioni di fantasia erotica.

 

Nella sua conformazione poco funzionale però la struttura nascondeva funzioni nuove ed esotiche, come l’invaso esterno a gradonata, anch’esso circolare, memore di antichi anfiteatri da enciclopedia d’arte, che richiamava aspettative eccitanti, concerti, spettacoli ed eventi di realtà metropolitane.

Peccato che non vidi mai vivere quell’anfiteatro, mortificato si immagina dall’intreccio di competenze, rimandi e voci di spesa della gestione. Anche quell’unico spazio che poteva giustificare l’improvvida scelta progettuale della forma circolare finiva a ricettacolo di cacche di topi, esattamente come l’anfratto di risulta dietro lo scaffale.

 

Ma, seppur nei suoi limiti, quel posto in odore di modernità era un angolo della cittadina promesso ad una missione ambiziosa negli anni Ottanta dell’ottimismo della volontà: proiettare me, povero garzoncello di provincia, oltre gli spazi di risulta degli stracci, le cacche dei topi, su, su fuori dalla valle reclusa dei monti verso gli spazi interstellari del Comandante Koenig.

 

Non che ci facessi attività degne della perifrasi così altosonante che lo intitolava, “Centro di Promozione Culturale”, promessa di superamento, e augurio di buon esito dell’anno scolastico. Ci andavo solo a leggere, a studiare, a prendere libri in prestito, a vederci qualche VHS rumoroso da televisoroni ingombranti.

Cose che oggi potrebbero farsi molto più agevolmente da casa, non posso dire che quel posto sia stato fondamentale per la mia formazione. Ma che qualcuno si fosse prodigato per farmi atterrare una navicella pur scomoda vicino casa, beh, era già segnale che ci fosse vita oltre la cinta montuosa e che quella vita in qualche modo ci ricomprendesse preoccupandosi di noi e della nostra cultura.

 

Chi lo farebbe mai oggi? Chi quell’amministratore pubblico pazzo che si azzerderebbe solo a promettere non un edificio ma una qualsiasi iniziativa di promozione culturale?

 

Nessuno. Infatti oggi il Centro di Promozione Culturale chiude perchè affetto a dire degli esperti di una vulnerabilità che la prescrive inagibile, nonostante costruita solo trent’anni fa e quindi si direbbe dotata di tutti i requisiti tecnico-normativi che le autorizzazioni per una struttura pubblica pretendevano già allora.

Ma da noi è così, crollano le scuole, le case degli studenti, gli ospedali, i cavalcavia e restano in piedi chissà perchè le case dei trisnonni costruiti con lo sterco di pecora.

 

Resta il sospetto dinanzi alla catasta di pratiche post sisma che attendono risposta che le ragioni di un provvedimento così urgente siano altre, che i costi di mantenimento in anni di contrazione e contrizioni di servizi e presidi non giustifichino più quel lusso anni ‘80 che ci siamo voluti permettere, che salvati i posti di lavoro migrati verso chissà quali improrogabili funzioni resti solo la navicella di un futuro che voleva essere e non è stato.

E che ha abdicato a un presente di assenze e chiusure, in cui diventa una bestemmia solo preoccuparsi di accoppiare la parola promozione alla parola cultura.

 

 

 

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