Atto di fede

(fotomontaggio Sportivi Peligni)

E’ finita come doveva finire da tempo, anche prima della scorsa settimana, quando don Daniel Arturo Cardenas si è andato a schiantare con la sua auto contro un guardrail della quattro corsie di Sulmona, per poi risultare positivo al test della cocaina. Il vescovo Michele Fusco, infatti, ieri ha formalmente sospeso dal ministero sacerdotale il prete di origine colombiana che, in verità, già prima dell’incidente aveva cercato di raddrizzare, più che di “coprire”, dalle sue a quanto pare ripetute e variegate “sbandate”. La sospensione del sussidio era stato un primo segnale, seguito da una vera e propria rivoluzione delle parrocchie con una catena di spostamenti che molti fedeli non hanno capito e che probabilmente oggi appare più chiara, anche se per questo non meno dolorosa. Fusco, d’altronde, per quanto garantista e progressista, non deve aver sopportato oltre lo show che il prete colombiano ha fatto l’altro giorno a Rivisondoli dove a celebrare la Via Crucis si è presentato con un avvocato di Santa Maria Capua Vetere, Gerardo Marrocco, e soprattutto con una teoria difensiva per credere alla quale ci vuole qualcosa in più di un atto di fede.

Secondo il legale del sacerdote, che è venuto a spiegare a noi trai monti quali sono le ultime tendenze giovanili in materia di droghe, infatti, don Daniel sarebbe stato, non si è capito come, quando e perché, vittima di una sorta di trappola: qualcuno, cioè, che gli avrebbe fatto assumere, a sua insaputa, cocaina, mischiandola in una fantomatica bevanda a base di bicarbonato: una specie di cocktail, insomma, che il sacerdote colombiano avrebbe ingerito senza sapere cosa contenesse e provocasse. In subordine, per restare nel gergo degli “azzeccagarbugli”, l’avvocato ha confutato l’attendibilità dei test, spiegando sì che nelle urine c’erano tracce di cocaina superiori al triplo del consentito, ma anche che il suo assistito non presentava al pronto soccorso sintomi da assuntore (secchezza delle fauci e stato di euforia). In ulteriore subordine, poi, l’avvocato sostiene che è tutta da dimostrare la violazione del codice della strada, perché nella sua ottica di questo si tratta, ovvero di essere alla guida sotto effetto di sostanze stupefacenti, perché l’esame delle urine non permette di datare il momento dell’assunzione.

A voler essere garantisti e in attesa dei riscontri sugli esami ematici (che quelli spaccano il minuto sull’orario dell’assunzione), qualche considerazione, però, va fatta. Che magari, qui tra i monti, non conosciamo le ultime tendenze dello sballo giovanile, ma abbiamo ben fermi alcuni valori.

Uno di questi è che, in questo caso, il problema non è la violazione del codice della strada (non solo quello almeno), quanto la violazione dell’etica e dei rapporti che dovrebbero intercorrere tra un pastore di anime e il suo gregge. Don Daniel ha tradito insomma i suoi parrocchiani, che gli hanno affidato i loro segreti e i loro figli e non la loro auto e che per questo, legittimamente, hanno chiesto come prima cosa le scuse del sacerdote (che non sono arrivate). Non regge molto, poi, la scusa che don Daniel non avesse sintomi da assunzione di cocaina domenica scorsa: se la droga è di ottima qualità, infatti, come ad esempio in Colombia si produce, gli effetti collaterali descritti non si presentano proprio.

Ancor più, però, la questione assume un risvolto sociale se è fondata la teoria della trappola: se don Daniel è stato indotto ad assumere la cocaina a sua insaputa, che fosse con un cocktail o inciampando ad un gradino a finendo casualmente su un mucchietto di polvere bianca lasciata su un tavolo, allora dovrebbe spiegare, più che ai suoi parrocchiani, alle forze dell’ordine con chi si trovava quella sera e chi avrebbe potuto offrirgli il singolare cocktail a base di bicarbonato, come fosse un digestivo dopo una cena troppo pesante. Perché in quest’ultimo caso, non si tratterebbe più di violazione al codice della strada, ma di un reato (il 613 del codice penale) che punisce il procurato stato di incapacità con una pena che arriva fino ad uno o a cinque anni (in caso di aggravanti) “chiunque, mediante suggestione ipnotica o in veglia, o mediante somministrazione di sostanze alcooliche o stupefacenti, o con qualsiasi altro mezzo, pone una persona, senza il consenso di lei, in stato d’incapacità di intendere e di volere”. E gli inquirenti, dal canto loro, hanno il dovere di indagare in tal senso.

Senza farsi pregare.

13 Commenti su "Atto di fede"

  1. Silvio Pelli | 17 Marzo 2024 at 00:27 | Rispondi

    Io appoggio questa tesi difensiva perché una volta è successo anche a me più o meno la stessa cosa. Mi trovavo ad Amsterdam a mia insaputa e volevo assolutamente andare al museo di Van Gogh ma sono stato trascinato a forza dentro un Coffee Shop. Poi la domenica mattina volevo andare a messa ma mi hanno legato e trascinato alle vetrine rosse. Quindi ha tutta la mia comprensione

  2. Il vescovo lo sapeva da molto tempo di questo astruso fenomeno,e, invece di agire decisamente ha tradito i fedeli ; che evidentemente ritiene inferiori; delle comunità più piccole dei paesini più isolati nei loro più intimi aspetti dell’animo, calpestando beffardamente la loro sincerità nel relegarci questo soggetto.Chi dovrebbe allontanato dalla diocesi è proprio il Vescovo perché questa pecorella smarrita se la doveva mantenere dentro la curia in un ufficio a fianco del suo.

  3. Chi dovrebbe essere allontanato dalla diocesi è proprio questo Vescovo.

  4. Probabilmente, lì “tra i monti” c’è gente che ha conosciuto bene e conosce ancora da vicino la polvere bianca di origine colombiana.

  5. Nemmeno la dignità di chiedere scusa ….ormai sembra che un buon avvocato e due stronzate scritte su Facebook sono meglio di una buona condotta .
    Ma la gente di montagna non dimentica e non la freghi così.

    • La stessa gente che ha votato nuovamente il cdx e poi si lamenta della sanità assente in alto Sangro? Mi illumini

  6. Una cosa è certa, la condotta morale, anche se giuridicamente non perseguibile per un qualche cavillo trovato da un avvocato esperto in materia di narcotraffico, dovrebbe da sola bastare per allontanare e rimuovere un “pastore” dal suo gregge. Storia torbida e dispiace soprattutto per i parrocchiani delle piccole comunità che, con il senno di poi, sono stati inascoltati per anni e vittime di questa situazione. Giustizia terrena o giustizia divina? a voi l’ardua sentenza.

  7. Ha fatto una cazzata o diverse cazzate, ma smettetela di scagliare pietre e ricordate uno degli insegnamenti fondamentali del cristianesimo. Per una volta almeno ricordate Gesu’ di Nazareth dinnanzi all’adultera che avrebbe dovuto giudicare.

  8. Prima di tutto bisogna togliere il “DON” davanti al nome di questo individuo colombiano, in quanto si offende il nome della Chiesa Cattolica; dovrebbe togliersi l’abito ecclesiastico ed andare a lavorare, per apprezzare molto di più il valore dei soldi che, spero fino alla sua sospensione, ha percepito dalla Chiesa senza particolari fatiche.

  9. Concetta Di Prospero | 17 Marzo 2024 at 13:24 | Rispondi

    Bell’articolo

  10. Tranquilli tutti. Adesso abbiamo tante chiese chiuse e, in quelle aperte, abbiamo spesso preti provenienti dalle parti più povere del pianeta (soprattutto Africa e Sud America) per la crisi di vocazione (o, se volete, per il laicismo) del grasso Occidente.
    Ma, tempo un secolo, avremo i mullah a farci i predicozzi e ad invocare la guerra santa contro gli infedeli.
    E a quel punto, se qualcuno assume droghe, gli taglieranno prima le mani e poi la testa, come si usa nel mondo islamico.
    Paesini ora spopolati dell’Abruzzo torneranno a nuova vita e potranno ospitare i martiri di Allah.

  11. Pescolanofuorisede | 17 Marzo 2024 at 14:17 | Rispondi

    Chi te la polver spara ! diceva mio nonno. Evidentemente il curato ne ha da vender a sentir il botto che ha deflagrato

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