La morte di Ousmana, la procura contesta il caporalato. La Cgil: “E’ schiavismo”

Sfruttamento del lavoro che ha portato come conseguenza ad un omicidio colposo: è questa la contestazione che la procura della Repubblica di Sulmona muove nei confronti del datore di lavoro di Ousmana Kourouma, il pastore di ventitré anni originario della Guinea morto sabato scorso in una stanza ricavata dall’essiccatoio di un ex caseificio dove si trova la stalla delle pecore che accudiva.
Ieri sulla salma del giovane africano è stata eseguita l’autopsia da parte dell’incaricato dalla procura, l’anatomopatologo Luigi Miccolis, che ha sostanzialmente confermato la morte per intossicazione da monossido di carbonio, non rilevando altri segni di violenza sul corpo.


Ousmana, insomma, è morto per quel maledetto braciere che aveva acceso in camera per riscaldarsi dal freddo, una soluzione improvvisata di riscaldamento realizzata con un bidone riempito di legna, lì dove non esiste un impianto di termosifoni.
Un particolare questo che ha portato il sostituto procuratore della Repubblica, Stefano Iafolla, ad ipotizzare la violazione dell’articolo 603 del codice penale, ovvero quello che riguarda il caporalato (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) e in particolare il comma che stabilisce che si configura lo sfruttamento con “la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti”.


E’ ovviamente un punto di partenza per avviare l’indagine, a cui seguiranno gli accertamenti sul tipo di contratto che il giovane aveva e se questo era rispettato, tanto nel versamento dei salari, quanto nel rispetto dei riposi e degli orari di lavoro a cui era sottoposto.
“Le condizioni di vita e, purtroppo di morte, di Korouma Ousmane, non sono dovute al caso, ma sono determinate direttamente dallo sfruttamento e dal disprezzo per la vita e la dignità dei lavoratori stranieri – commenta la Cgil -. Vivere e morire in assoluta solitudine in un alloggio ricavato dai locali per la stagionatura di un ex caseificio, in una stanza 3 metri per 3 metri, con un fornello ed un giaciglio di fortuna sono conseguenze di nuove forme di schiavismo di fronte alle quali non vogliamo, non possiamo e non dobbiamo tacere. In attesa degli accertamenti degli enti preposti sulle cause della morte e sulla regolarità’ dell’applicazione del Contratto individuale di lavoro, esprimiamo pieno cordoglio alla famiglia del lavoratore originario della Guinea ed alla sua comunità, chiedendo nel contempo interventi utili affinché non si ripeta mai più una tragedia simile. È inammissibile morire di lavoro”.

5 Commenti su "La morte di Ousmana, la procura contesta il caporalato. La Cgil: “E’ schiavismo”"

  1. Eccoli qui, adesso si svegliano e tutti a pontificare, ma fino a l’altro ieri dormivano.
    Dormivano le forze dell’ordine e dormiva la magistratura ( hanno l’obbligo per legge di effettuare i controlli sui lavoratori assunti nelle aziende agricole), dormivano i sindacati di categoria che lucrano sulle pratiche della compilazione domande PAC agricola e PSR allevamento/Prati Pascolo.
    Dorme, sempre, il Servizio veterinario che puntualmente si reca nelle aziende per effettuare i prelievi agli animali e che rilascia i certificati per lo spostamento in alpeggio degli animali, che prescrive i “miglioramenti” sulle stalle a volte Normati da Leggi cervellotiche al limite della pazzia umana, ma chiude gli occhi e NON guarda minimamente sulle condizioni igienico sanitarie e assicurative degli addetti ai lavori.
    La sinistra ha accorpato il Corpo Forestale ai carabinieri, di fatto in Montagna non si incontra più nessuno, tutti “Impegnati” in città per servizi diversi dal Controllo dei boschi, foreste, Natura e agricoltura/allevamento.
    Ma la stalla a Goriano è situata alle porte del paese e non in alta montagna, possibile che nessuno è mai andato a vedere e controllare questa Azienda? E se ci sono andati di sicuro nessuno ha ispezionato i luoghi di lavoro, si limitano a controllare la regolarità dei documenti e basta.
    La vita del pastore è dura, negli alpeggi estivi i giacigli a volte sono di fortuna e le condizioni igienico sanitarie inesistenti o ridotte al limite indispensabile: una brandina per dormire, un tavolo due sedie e un bacile per lavarsi. Più un fuoco di fortuna per le freddi notti estive di montagna. Bisogna esserci temprati per questa vita, sempre uguale da millenni. Ma oggi per fortuna si può e si deve migliorare.
    Allora la Regione che adotti, da subito, un Regolamento che per avere i contributi pubblici del PSR o PAC devi dimostrare e certificare che hai adottato tutte le misure di miglioramento delle condizioni di vita di chi opera nell’azienda: dal proprietario agli addetti di ogni nazionalità o colore della pelle perché, cara CGIL, nei lavori agricoli, boschivi o di allevamento, muoiono anche i lavoratori italiani.
    E per favore: NON RIADDORMENTATEVI.

  2. WARNING – il commentoè stato rimosso perchè diffamatorio

  3. WARNING – il commento è stato rimosso perchè diffamatorio

  4. @Publio, piuttosto che gli adempimenti burocratici che non sono mortali è anche importante sottolineare che questo ragazzo dalla Guinea è di propabile etnia Fula ,e vengono a lavorare nella pastorizia per provenienza culturale perché sono già un antico popolo di pastori nomadi. Però loro per tradizione vivono all’aperto od accendono i fuochi al centro nelle capanne con il buco sopra. Perciò IL MONOSSIDO DI CARBONIO, ED IL PERICOLO DI ACCENDERE UN FUOCO IN LUOGO CHIUSO NON LO CONOSCONO E NON LO HANNO MAI CONOSCIUTO.Percio’ bisogna stare attenti con adeguata istruzione che altri pastori africani in Italia , ripetendo quello che hanno sempre visto in casa riaccendono fuochi al chiuso divenendo pericolosi per loro e per altri.

  5. Frank, concordo, e su questo chi ha assunto questo ragazzo aveva l’obbligo legale ma soprattutto MORALE di predisporgli un locale con un minimo di sicurezza e confort. Bastava poco. D’altronde non si tratta di uno stazzo d’alpeggio in alta montagna ma la sua ubicaIone è a pochi centinaia di metri dal paese. Poi se consideriamo che questo durissimo lavoro non lo vuole fare più nessuno, quando si trova un collaboratore che comunque lo accetta e lo condivide, per rispetto bisogna trattarlo come uno di famiglia.
    Ma come ho scritto nel mio post, e per esperienza, ti dico che sono le Istituzioni le maggiori Responsabili di queste ingiustizie, molti dirigenti sono incapaci. I politici oltre che incapaci sono menefreghisti a prescindere dai colori della casacca che indossano.

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